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diomede, numero 9 del 2008

Rivista di cultura e politica dell'Umbria
www.associazionediomede.it





Una famiglia di imprenditori musicali perugini. Intervista a Mario Belati.


Stefano Ragni
Docente del Conservatorio di musica di Perugia e dell'Università per Stranieri

Un incontro a palazzo Calderini

Anno 1870. Decisioni e novità si ebbero in quest'anno sul piano edilizio. Il Comune concesse l'area dei canapè all'architetto Calderini per innalzarvi un affare che non s'era mai sentito dire: un caseggiato in condominio! Non che le case di Perugia avessero ciascuna un unico padrone. [...] ma nessuno aveva mai pensato di che si potesse fabbricare ex-novo una casa col proposito di dividerla. Calderini ebbe infatti difficoltà a vendere gli appartamenti. Per almeno due anni dovette reclamizzare l'offerta dei quartieri che erano lussuosi e ampi, ma naturalmente senza bagno e con gabinetti a semplice buco.(Uguccione Ranieri di Sorbello, "Perugia della Bell'Epoca", Perugia, Volumnia, 1970, p. 186).

Incontriamo Mario Belati in quello che è il luogo storico e ambientale da cui parte la storia dell'omonima casa editrice, ditta antesignana di interessi economici ed artistici che ha dato luogo a un itinerario commerciale e musicale protrattosi per tre generazioni di imprenditori perugini:

Là davanti c'era la colonnina della Shell per il rifornimento degli autobus. Qui, dove siamo seduti, era l'ingresso della sala di esposizione e il vano dove ora c'è la tabaccheria lo usavo come garage per la mia Millecento serie a. All'angolo c'era il negozio delle Lambretta, poi ci venne l'autoscuola Perusia. Tutto il piano terra e gli spazi sottostanti erano nostri: mio nonno Tito li comprò "sulla pianta", affermando che voleva vivere in centro, perché se gli veniva voglia di andare al cinema, che allora era il Pavone, non voleva fare troppa strada. Poi, naturalmente, dato il suo carattere, al cinema non ci andò mai.

Siamo nel bar di piazza Italia, nel palazzo Calderini, e chi parla è un distinto signore dai capelli candidi e dallo sguardo azzurro dell'intelligenza: Mario Belati è l'ultimo esponente di una dinastia di imprenditori che, nella storia economica della città rivestono la levatura e l'importanza degli Spagnoli e dei Buitoni. Per la loro appartenenza al versante della produzione musicale li si potrebbe paragonare ai Morettini, gli organari che a meno di cento metri da qui, in via del Circo, per più di tre generazioni progettarono strumenti ancora suonati nelle chiese di tutta l'Italia centrale.
Un'altra famiglia che, quasi un secolo prima, operando nella città del Papa-re, ha saputo coniugare il senso dell'arte con una progettualità artigianale che, per dinamismo, capacità di sviluppo e latitudine operativa, ha assunto le dimensioni di quella che oggi si definirebbe una media industria. Prosegue Mario Belati:

Il cortile qui dietro, dove oggi c'è il giardino, prosegue Mario Belati, allora era coperto a vetri ed era il luogo dove venivano rifiniti gli strumenti: tutto il lavoro di modellatura e di assemblaggio si faceva nei locali che davano su via Marzia, un'attività rumorosa che non faceva certo paura al nostro dirimpettaio, che era l'elettrauto Speziali. Quando mio nonno Tito comprò questa enorme estensione di fabbricato in un palazzone che era il primo condominio con cui la Perugia della Belle Epoque entrava nella modernità, tutto il pavimento del pianterreno era di asfalto: questo marmo che si calpesta oggi è di molto posteriore.

Oggi Mario Belati, funzionario in pensione dell'amministrazione pubblica dove ha rivestito alti incarichi dirigenziali nei ministeri della Ricerca e dell'Università ama definirsi un "erede di imprenditori" che è tornato a casa con l'amore per le auto d'epoca e il gusto di ripristinare le memorie di una ditta di fabbricazione di strumenti e di edizioni a stampa per banda che ha avuto diffusione europea. La Casa Musicale Tito Belati, fondata dal capostipite, data dagli inizi del secolo: il primo catalogo è del 1900, l'anno della Tosca di Puccini, mentre l'insediamento a palazzo Calderini data dal 1905. Travolta in parte dalla crisi economica del '30 la Tito Belati chiuse il settore di fabbricazione di strumenti a fiato e conservò solo quel settore delle pubblicazioni di musiche per banda che, pur attraverso le oscillazioni del settore, è arrivata intatta ai nostri giorni.

La storia della Casa Musicale Tito Belati

Nel 1890 il maestro Tito Belati è nominato direttore della banda dell'Unione Musicale Italiana di Lione. Aveva solo venticinque anni, era figlio di un proprietario terriero di San Martino in Colle e studiava la musica contro la volontà del padre. Lo sosteneva il nonno Claudio, un nome rimasto in famiglia per gratitudine. Gli passava i soldini per prendere l'omnibus, ma Tito li risparmiava per comprare la musica, e pertanto percorreva a piedi la strada tra il paesello e il Liceo musicale Morlacchi di via Fratti. In questi vecchi e oscuri locali del convento dei padri Filippini studiava composizione con Armando Mercuri che gli insegnava anche la direzione d'orchestra. La decisione di lavorare all'estero era stata presa con la consapevolezza di venire a contatto con un mondo professionale certamente più evoluto di quello italiano, ancorato al melodramma tradizionale.
Nel 1900 Belati era maestro della Banda Reggimentale del 35° fanteria del Regio Esercito Italiano di stanza a Foggia. I progetti di riforma del repertorio bandistico diffusi da Alessandro Vessella nell'ultimo decennio del secolo non trovavano impreparato il giovane perugino che a contatto con l'ambiente musicale francese aveva meditato in senso personale idee di modernizzazione di un settore ancora lontano da tentazioni economicamente competitive. Lasciato repentinamente l'incarico militare e ritornato a Perugia, Belati fonda lo Stabilimento Musicale che portò subito il suo nome. La ditta musicale era destinata in breve tempo a diventare sinonimo di musica per banda in Italia e nel mondo, anche grazie alle comunità italiane presenti nei più disparati angoli della terra. Ricorda Mario Belati:

La casa editrice era costituita da bauli contenenti le partiture che venivano custodite sotto il letto, con mia nonna che si occupava di evadere gli ordini e di provvedere alle spedizioni. Poi il trasferimento a Perugia, sempre in un appartamento, ma in Borgo XX Giugno, con l'acquisizione di rappresentanze di strumenti e di accessori bandistici, per le marche francesi. Lo sviluppo della stampa di "parti levate", ovvero le singole musiche che ogni strumentista si mette sul leggio per suonarle, fu la vera novità della nostra ditta. Prima di allora questi fogli venivano compilati dai singoli maestri di banda che copiavano a mano dalla partitura collettiva. In tal senso la innovazione fu subito recepita dal mercato: il fatturato salì e il grande salto fu sancito dall'acquisto della nuova sede al palazzo Calderini, precedentemente acquistata e presto disposta per accogliere lo Stabilimento Musicale, con tanto di officina per la produzione in loco degli strumenti completi in ogni loro componente.

Ma il novello editore seppe lavorare anche su un altro versante, che era quello, già promosso da Vessella, di accendere un vero dibattito accademico per definire organici stabili e accertabili di piccola, media e grande banda. Fu necessario convincere anche i compositori, (e Belati si annoverava tra loro) di scrivere strumentazioni adatte ad essere eseguite con organici variabili senza che la musica stessa ne ricevesse nocumento. Secondariamente Belati puntò all'assimilazione di quello che era allora il repertorio corrente, ovvero il melodramma popolare, la musica lirica: la nuova realtà bandistica avrebbe portato le opere sulle piazze cantando come un cast di interpreti vocali e suonando al pari di un complesso sinfonico. Ancora, tra le idee innovative di Belati prese corpo quella di inserirsi nel settore didattico, proponendo metodi per l'insegnamento che fossero rigorosi, ma non escludessero l'utilizzazione da parte di strumentisti dilettanti, ovvero la più parte dei cultori del settore. Coi metodi del maestro perugino si poteva fornire a questi "musici occasionali per diletto" una base teorica sufficiente per affrontare con un certo successo le opere più impegnative. E così a ogni piccola formazione di paese veniva consentito di fare cultura insieme al più godibile intrattenimento musicale.

Azienda e strumenti

Il problema da risolvere era quello di produrre strumenti di qualità per un'utenza non certo danarosa, disposta tuttavia a spendere quel poco che aveva per un manufatto che fosse di proprietà. L'intuizione di Belati fu quella di produrre a palazzo Calderini strumenti di buona fattura a costi accessibili, circostanza che fu messa in atto con l'assemblaggio di macchine professionali in grado di realizzare ottoni e legni in un processo produttivo che, dati i forti numeri, consentisse una determinante e convincente riduzione dei costi. Che la qualità ci fosse è testimoniato non solo dalla immediata diffusione dei prodotti sonori perugini, ma anche dai premi che, durante le mostre internazionali, i fiati dello Stabilimento Tito Belati conquistavano (a piene mani) a mani tese: il più prestigioso fu quello conseguito all'Expo Mondiale di Bruxelles.
Ricorda ancora Mario Belati:

Oggi in molti paesi, soprattutto nell'America latina, mi imbatto in strumenti di mio nonno battuti alle aste del settore con prezzi più che elevati. L'internazionalizzazione della casa non fece mai perdere a mio nonno il senso delle radici: fu sua la decisione di legare strettamente Casa editrice e Stabilimento strumentale a Perugia, confermando per ambedue l'emblema aziendale del grifo rampante, stemma che oggi ritrovo in ogni angolo dei luoghi musicali che visito e che contemplo con un pizzico di commozione e di orgoglio. Mi piace ricordare che, a quei tempi, solo la Perugina apponeva marchio simile sui baci e sulla Fondente Luisa. D'altra parte emblemi Liberty e Art Decò hanno sempre ben figurato sui nostri cataloghi, nei manifesti, nelle cartoline pubblicitarie e in ogni nostra iniziativa grafica.

Arrivati al 1911, il maestro di banda, ormai consolidatosi come industriale di successo, vuole consolidare il suo mercato e fidelizzare clientela e fornitori: è necessario ora creare un nuovo strumento di comunicazione come un giornale aziendale dalla marcata caratura culturale e divulgativa. Nasce così "L'Amico dei bandisti", un periodico che conoscerà anche tirature da oltre diecimila copie e che per due decenni rappresenterà il polmone pulsante dei percorsi culturali della musica per banda italiana. Con una agguerrita redazione composta da tecnici del settore, il periodico si caratterizza subito come una palestra di dibattiti sulla situazione bandistica nazionale, diventando un punto di riferimento per gli "innovatori": la rivista cominciò a proporre anche concorsi di composizione riservando ai vincitori non solo la relativa pubblicazione, ma anche l'inserimento del titolo nel catalogo della casa editrice.
Era ormai tempo di internazionalizzazione e la casa Belati accettò la sfida, accompagnando gli emigranti fin nelle più remote regioni delle due Americhe. Ogni comunità di italiani, dovunque si radicasse, si portava dietro le sue tradizioni musicali, banda compresa. La Belati si attrezzò per provvedere anche all'estero i bandisti italiani della prediletta musica "di casa", innescando un processo di diffusione extra-continentale che ancora oggi è vivo nella memoria di molti.
Nel 1930 fu la crisi mondiale e anche per la ditta perugina ci furono momenti di difficoltà: venne chiuso il settore aziendale destinato alla produzione degli strumenti. Si era avviato il fatale processo di recessione a cui fu soggetta l'attività bandistica con la guerra e con il boom della ricostruzione, caratterizzata dall'irruzione della musica afro-americana. E' degli anni '50 l'accordo commerciale con la casa milanese Vidale e il trasferimento nella città del duomo.

Il ruolo di Mario Belati, editore di terza generazione:
la tradizione e la sfida dei tempi nuovi

Sono nato a san Martino in Colle nel 1943 e mi hanno battezzato proprio l'otto settembre nella chiesetta del Feltre, dove in questi giorni si celebra il Pintoricchio per l'affresco della Madonna. A differenza di mio padre Claudio che era violinista e che, con un contratto per gli Stati Uniti in tasca, dovette acconciarsi a prendere in mano le sorti della casa musicale, la mia storia personale è del tutto estranea alla musica. Le materie e gli studi compiuti a Perugia nella facoltà di Economia e Commercio dell'Università mi portavano verso un settore del tutto nuovo, ovvero la tecnica della ricerca di mercato. Allora le industrie italiane non applicavano questa disciplina. Tutta la mia funzione di "erede di imprenditori musicali" era lontana a venire, anche perché sentivo in cuor mio che nella mia città ci avrei vissuto poco. Con la laurea mi arrivarono le prime offerte di lavoro che giudicavo poco allettanti. Poi fu il caso fortuito a decidere. Conobbi in città una vecchia amica parigina di mio padre che aveva frequentato negli anni '20 l'Università per Stranieri. Questa attempata signora di profonda cultura e di grande apertura mentale nella settimana passata tra noi mi fornì le chiavi di lettura dello sviluppo mondiale che lei, da un osservatorio privilegiato come la capitale francese, vedeva molto meglio di me. Dopo dieci giorni dalla sua partenza mi telefonò per dirmi che se avessi voluto avrei potuto usufruire di una borsa di studio del governo francese per studiare due anni negli Usa, per poi inserirmi nella Comunità Europea. Traumatizzato dalla proposta seppi solo rispondere che non me la sentivo di lasciare solo mio padre. La soluzione fu mediata opportunamente, con l'accettazione di un posto della Banca Nazionale del Lavoro per il corso di funzionario. Mi stabilii a Roma, anche se cominciai a girare tutta l'Italia. La mia carriera si è svolta in una continua metamorfosi: il ministro Romita mi portò al Ministero della Ricerca per farmi occupare del settore del finanziamento e della ricerca industriale: c'era bisogno di tecnici che fossero in grado di dialogare anche con gli esponenti del Ministero del Tesoro. La mia attività si è articolata successivamente negli ambiti di direttore generale della Ricerca, prima, dell'Università poi, fino a diventare capo di gabinetto vicario, prendendo il posto di Fazio. Nel '97 sono passato all'Autorità di Garanzia della Comunicazione su delega di Maccanico.

Il racconto di Mario Belati continua a snodarsi tra i ricordi personali che, fatalmente, vanno a intrecciarsi con quelli della ditta di famiglia:

Cosa avveniva nel frattempo della Casa editrice? Sopravviveva a Milano, dando un suo gettito in diritti d'autore ed amministrata dalla compartecipazione Vidale. Ma alla metà degli anni '70 i conti andarono improvvisamente in rosso. Si presentavano allora due ipotesi: chiusura o rilancio. Una decisione non facile per me che sono strettamente legato alle tradizioni della mia famiglia. Ma il rilancio significava diventare imprenditore part-time in un settore, quello musicale, che a me era totalmente sconosciuto. Cominciai allora a riannodare una serie di rapporti con vecchi amici di mio padre, a partire da Francesco Siciliani, il fondatore della Sagra Musicale Umbra, a Marino Marini, cantautore e figlio di un nostro compositore per banda. Ma decisivo fu l'avvicinamento a quello che considero ancora oggi un grande personaggio della musica umbra, il maestro Pietro Franceschini. Trombista eccezionale, grande esperto della direzione di banda, didatta del Conservatorio perugino, Franceschini era un vero punto di irradiazione di molteplici interessi musicali. Con lui mi misi in viaggio alla volta di Milano per promuovere l'ipotesi di un mini-piano industriale, comprendente anche una verifica di magazzino per vedere il reale stato delle cose. Viaggiammo in treno e al ritorno Franceschini mi espose la sua "filosofia aziendale": mantenere l'impegno con la Belati e tener viva la sua antica funzione di faro dell'editoria italiana per banda era una scommessa da fare. Era del resto una questione di storia e di tradizione. Non era vero che tra il '20 e il 28 la Belati, come produzione di strumenti a fiato, aveva raggiunto un fatturato da media industria? Franceschini mi espose nel viaggio di ritorno, che avvenne in treno, i principi entro cui avrei dovuto agire, io che venivo da tutt'altro settore che non era quello musicale: ristudiare la storia della Casa per poter ripristinare il senso del vecchio e del consolidato. Era un concetto vichiano che può risultare utile anche oggi a chiunque decida di affrontare un piano di intervento o di risanamento di impresa. Con la certezza che Franceschini mi avrebbe assistito con la sua esperienza e la sua umanità riaprii con vera emozione la sede perugina della Belati realizzando quello che mi stava a cuore, la "evoluzione nella tradizione".

L'attualità

Il lungo racconto di Mario Belati ci porta alla contemporaneità. Alla accettazione della sfida del moderno mercato dell'industria musicale, percorso da una concorrenzialità senza respiro, un vero impegno per una ditta che si ponga come antagonista delle grosse concentrazioni editoriali, i grandi colossi del globalismo. Passata l'emozione fu necessario porre mano ai problemi dei singoli settori: organizzazione, produzione, repertorio, marketing e comunicazione:

Per l'organizzazione avevo pochi problemi ad applicare in forma ridotta le tecniche che giornalmente utilizzavo in banca: per il resto era tutta un'altra storia da scoprire! Ricordo solo alcuni dei punti più significativi di un lavoro appassionante che solo oggi ho tradotto in uno slogan per l'Associazione Gens Italica che presiedo: conoscere per costruire. Il primo passo fu dunque la riorganizzazione del repertorio, il vero patrimonio di una casa editrice: studiarne il gradimento è condizione della sua redditività. Ora la banda assolveva compiti diversi rispetto all'anteguerra, ed in particolare bisognava agevolare il gusto del pubblico e degli esecutori, indirizzandosi verso quelle composizioni che per il mercato estero era già una realtà: operare sulla musica ever green in un formula che, sul mercato italiano del passato era gia stata realizzata con le famose "fantasie su temi d'opera". Decisa questa linea editoriale, ci accorgemmo presto delle difficoltà della selezione dei motivi e della necessità di strumentare in modo agevole quello che doveva diventare un pezzo di successo. Quando Renato Carosone, uno dei geni della canzone italiana, ci ringraziò per aver tradotto i suoi motivi più celebri in una vera e propria "sinfonia", capimmo di aver centrato l'obiettivo. Ancora oggi, in presenza di un catalogo datato 1993, le "fantasie" della gestione editoriale Franceschini sono richieste dai nostri vecchi clienti. E la fantasie di canzoni e di pezzi lirici italiani sono tuttora molto apprezzate dalle nostre comunità italiane residenti all'estero: in questo senso si chiude il cerchio che mio nonno Tito aveva disegnato con la sua momentanea "emigrazione" a Lione. Questo senza rinunciare allo zoccolo duro della nostra editoria, quelle marce e quegli inni religiosi che costituiscono tuttora una delle nostra produzioni di maggiore consumo.

La storia della Casa Belati si intreccia ora coi destini delle nuove generazioni di musicisti. È il momento delle grandi avventure discografiche con quattro Lp in vinile realizzati con la Banda della Polizia di Stato e altrettanti promossi da Andrea Franceschelli e dal suo Grand Ensemble, una vera orchestra a fiati costituita dagli allievi del Conservatorio perugino. Con l'intervento autorevole di Giorgio Calabrese, paroliere e autore di successo, il Grand Ensemble arrivò in televisione in un contenitore di successo come era allora la Domenica In di Pippo Baudo. In mezzo a tutto questo non poteva mancare il contatto tra la Belati e il prestigioso Concorso Internazionale di Composizione di musica originale per banda di Corciano. Un marchio che oggi sotto l'impulso di Andrea Franceschelli è un made in Italy apprezzato nel mondo intero: le musiche premiate trovano subito idonea collocazione nel nuovo catalogo Belati.
Le conclusioni ancora a Mario Belati:

La casa editrice vive oggi sulle linee imprenditoriali tracciate da Franceschini. Ultimamente l'ho tenuta un po' congelata, ma pur sempre viva. E ho intenzione di riaprire i giochi con la creazione di un comitato sorto per onorare la memoria dell'indimenticabile Pietro Franceschini. A suo nome sarà dedicato il Comitato per la realizzazione di un Centro Storico delle Bande Musicali. A questo Centro sarà affidato l'onere di organizzare l'Archivio Storico della Casa Editrice Tito Belati e di divulgarlo attraverso web, un archivio quindi non museale, ma assolutamente vivo da far conoscere, un lembo di storia del Novecento che è ancora attualità. Nel nome di un'imprenditoria perugina che vorrei giudicare ancora capace di scatti di orgoglio.

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Tito Belati ed il Regio Esercito
Primo catalogo Foggia
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Il figlio Claudio nel 1921
Tito con il nipote Titino
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Titino con Ras
Tito nel 1931
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Claudio con la figlia Anna Maria
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Mario e la sua Giulietta
Mario e la moglie Loretta